Il primo
incontro, nello studio di via Masi.
Ce lo
avevano descritto intransigente, taciturno e poco incline alla confidenza.
Passati non
più di due mesi, dopo la prima consegna di lavoro, ci propose di andare a
mangiare un gelato.
Aveva un modo
tutto suo, partecipato, di incoraggiare.
Gli confidammo
di avere in affitto un laboratorio e di usarlo come falegnameria. Non ci chiese ‘che ve ne
fate?’ ma, con la solita timidezza, accennò all’idea per una poltrona che aveva
avuto tanti anni prima e non aveva mai avuto occasione di sviluppare. Ci si
lavorò per un po’. Qualche tempo dopo sedeva sul prototipo.
Ci raccontò un episodio
della sua prima infanzia di cui conservava un chiaro ricordo: aveva fatto arrabbiare molto sua madre,
questa lo aveva ripreso e intendeva punirlo.
Non gli fu spiegato, però, in cosa
avesse sbagliato. Pare che, così ci disse l’Architetto, non capendo perchè meritasse
il castigo, si fosse fatto prendere da una specie di convulsione e, buttato a
terra, sulla schiena e con le gambe all’aria, si dimenasse in modo scomposto. Dovettero
chiamare un medico.
Abbiamo pensato, allora, che la
necessità di “comprendere le cose” gli fosse urgente da sempre, innata. Era una
persona appassionatamente curiosa, in
maniera infaticabile e trasversale.
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