"Che cosa si può conoscere del mondo? Dalla nascita alla morte, che quantità di spazio può sperare di abbracciare il nostro sguardo? Quanti centimetri quadrati del pianeta Terra avranno toccato le nostre suole?
Girare il mondo, percorrerlo in lungo e in largo, non permetterà di conoscerne più che qualche ara, qualche arpento: minuscole incursioni in vestigia incorporee, brividi d'avventura, improbabili ricerche fossilizzate in una nebbia dolciastra di cui alcuni particolari si fisseranno nella nostra memoria: al di là di tutte queste stazioni e di queste strade, e delle piste scintillanti degli aeroporti, e di queste strisce strette di terreno che un treno di notte lanciato a tutta velocità illumina per un breve istante, al di là dei panorami attesi troppo a lungo e scoperti troppo tardi, e dei mucchi di pietre e dei mucchi di opere d'arte, saranno forse tre bambini che corrono su una strada bianca, oppure una casetta uscendo da Avignone, con una porta a graticcio di legno un tempo dipinta di verde, le sagome degli alberi che si stagliano in cima a una collina nei dintorni di Saarbrücken, quattro ilari obesi al tavolino di un caffè alla periferia di Napoli, la via principale di Brionne, nell'Eure, due giorni prima di Natale verso le sei di sera, il fresco di una galleria nel suk di Sfax, una minuscola diga trasversale in un loch scozzese, una strada a tornanti vicino a Corvol-l'Orgueilleux...E con essi, irriducibile, immediata e tangibile, la sensazione della concretezza del mondo: qualcosa di chiaro, di più vicino a noi: il mondo, non più come un percorso da rifare senza sosta o come una corsa senza fine, non più come una perenne sfida da accettare senza tregua, non come unico pretesto per una esasperante accumulazione né come illusione d'una conquista, ma come ritrovamento d'un senso, come percezione di una scrittura terrestre, d'una geografia di cui abbiamo dimenticato di essere gli autori."
G. Perec, "Espèces d'espaces"